Il tema è attualissimo e continua a rivestire un’urgenza a volte spinosa.

Per chi non lo sapesse, le aziende con almeno 15 dipendenti sono coinvolte da quello che si definisce l’obbligo dettato dallaL. 68/99, che prevede l’impiego di persone iscritte nelle liste delcollocamento mirato, le quali devono risultare disoccupate e con una percentuale d’invalidità, certificata dagli enti competenti, di almeno il 46% (minimo il 34% se l’invalidità è derivante da infortunio sul lavoro).

In Italia, la situazione risulta critica e complessa. A fronte di quasi un milione di persone iscritte nelle liste, ci troviamo difronte a circa 150 mila scoperture (dati in aggiornamento), ossia di posti di lavoro che le aziende dovrebbero coprire con assunzioni obbligatorie.

Questo cosa significa?

Proviamo a fare dei ragionamenti semplici, consapevoli che non sia il caso di semplificare un argomento decisamente intricato.

Intanto, risulta chiaro come il “bacino” di persone occupabili sia di gran lunga superiore alle posizioni di lavoro disponibili per chi fa parte delle liste del collocamento mirato.

Com’è possibile che le aziende non riescano ad individuare i profili professionali adatti con una disponibilità così elevata di persone Le aziende insolventi, proprio perché tali, rischiano di pagare delle penali molto salate, con un’incidenza sui propri conti di migliaia di euro.

Non sarebbe il caso di investire in capitale umano? La risposta è “sì”.

Le aziende hanno come riferimento i Centri per l’Impiego, disseminati territorialmente, enti preposti a fornire loro unservizio gratuito per trovare la persona giusta ed assolvere l’obbligo di legge.

Probabilmente c’è qualcosa che non funziona, altrimenti non saremmo qui a scriverne e, altrettanto probabilmente, laquestione è ascrivibile a più fattori che incidono sulla situazione in sé.

È risaputo che l’ente pubblico ha avviato, seppur in modo diversificato tra le regioni italiane (ahimè), un processo di cambiamento volto a migliorare il servizio alle imprese, ed è un percorso non facile e non breve.

Resta il fatto che l’utilizzo delle graduatorie delle liste del collocamento mirato non sono state molto utili, se non in modo sporadico, in merito ai reali fabbisogni delle aziende.

Ne è scaturito un progressivo allontanamento tra le parti, con la conseguenza che ci sono andate di mezzo le persone.

Mettiamoci anche un grado culturale scadente, rispetto ai temi dell’inclusione, che meriterebbe maggiore attenzione e investimento, non solo da parte del mondo imprenditoriale, e arriviamo così a comprendere un po’ di più questa difficoltà di “incontro” tra persone e imprese.

A poco o nulla è valso inasprire le penali, in caso di inottemperanza da parte delle imprese, o mettere sul tavolo una serie di incentivi corposi per invogliare le aziende ad assumere persone iscritte alle liste del collocamento mirato.

Ancora oggi, nel 2024, ci sentiamo rivolgere richieste, da parte di alcune aziende, intrise di pregiudizi e stereotipi, che sono distanti da una reale volontà inclusiva.

Se rivolgiamo la nostra attenzione alle neurodivergenze, la situazione sembra denotare qualche spiraglio di miglioramento, anche se, a nostro avviso, c’è ancora molta strada da fare per giungere ad una visione equilibrata in merito al rispetto della persona, tutto compreso.

La nostra esperienza, per quello che può valere, ci racconta che la non conoscenza genera distanza, a maggior ragione nell’ambito delle neurodivergenze.

Le aziende, che hanno iniziato un percorso di crescita culturale e di conoscenza su questi temi, sono maggiormente preparate ad accogliere e includere, non solo le persone delle liste del collocamento mirato.

Una via da percorrere è senz’altro la cura del processo di recruiting, al quale è necessario applicare un’attenzione quasi “maniacale”, evitando la superficialità e la banalizzazione dei vari passaggi dell’iter di selezione.

Intanto, è fondamentale partire dai fabbisogni delle imprese e dalle competenze delle persone, per fare il giusto match e smarcarsi dall’obbligo di legge per sposare un approccio di opportunità professionale, il cosiddetto win-win.

Se poi la persona ha delle esigenze o necessità specifiche sul posto di lavoro, in merito alla propria invalidità, risulta fondamentale parlarne e valutare per bene l’accessibilità dell’azienda.

In questi anni è stato possibile avviare al lavoro numerose persone neurodivergenti, nel rispetto dell’unicità di ogni individuo, valutando ogni aspetto utile a definire la fattibilità dell’incontro tra domanda e offerta.


C’è ancora molto cammino da percorrere per giungere a risultati di un certo livello, ma la strada imboccata, in merito alla responsabilità sociale e agli obiettivi DE&I e ESG, è quella giusta.

Ogni persona può e deve dare il suo contributo per un miglioramento che ci permetterà di vivere e far vivere meglio tutt*.

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